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“The Ferragnez 2” la recensione della serie tv su Amazon Prime Video

“The Ferragnez 2” la recensione della serie tv su Amazon Prime Video

“The Ferragnez 2” la recensione della serie tv su Amazon Prime Video

Diponibile su Amazon Prime Video

Regia: Francesco Imparato
Cast: Chiara Ferragni, Fedez
Genere: Docu-reality
Paese: Italia
Anno: 2023
Puntate: 8
Durata: 29-40 minuti (episodio)
Voto: OO 1/2 (su 5)

La seconda stagione di “The Ferragnez” non apporta nulla di nuovo nell’incessante auto-racconto della coppia coniugale. Segue semplicemente lo stesso montaggio che riunisce le storie di Instagram, le riprese quotidiane, i confessionali, la terapia di coppia. E, poi, i video inediti e tutto il materiale emotivo che spazia dalle lacrime alle crisi matrimoniali, dai diverbi caratteriali all’amore per i figli. Ciò che cambia sono gli eventi, le location, i viaggi e l’apertura del primo episodio dedicato interamente alla malattia di Fedez. Accendendo le telecamere degli smartphone là dove mai avremmo voluto entrare.

Se ormai sembra quasi naturale vederli (e vederci) vivere una vita documentata, riferita e svelata – la loro vita ricca di collaborazioni con famosi brand, fitting consueti con Donatella Versace e Maria Grazia Chiuri, litigi post-MET Gala su possibili sguardi flirtanti con Gigi Hadid e Jacob Elordi – rendendo la loro vita straordinaria e allo stesso tempo banale – l’accensione della spia rossa a un passo dalla sala operatoria del San Raffaele sembra un po’ fuori luogo.

È un’invasione di spazi e fragilità tangibili (la possibile vicinanza con la morte) che sembra tornare dritta alla grande domanda che ha accompagnato la prima stagione. E’ giusto (per nostra esplicita volontà) mostrarci, raccontarci in ogni frangente di vulnerabilità. Oppure dovremmo ripensare a un confine, a un limite per riposizionarci all’interno della società?

Se ha ancora senso porsi questa domanda, e se ha ancora senso non avere risposte certe su tutto, allora “The Ferragnez 2”, al di là del divertimento, del glamour, del cachet devoluto al Festival di Sanremo, della pretesa di essere veicolo per trasmettere messaggi, della simpatia o antipatia, delle sfide personali su un grattacielo di New York, potrebbe ancora fungere da ponte, da stimolo (si spera costruttivo) per il nostro perpetuo approccio all’autorappresentazione, alla documentazione indotta di noi stessi, alla capitalizzazione delle emozioni, dei traumi, della salute mentale e della malattia.

In quest’ottica, forse, risiede il valore ultimo della serie. Che la si detesti, che la si commenti, che la si adori o che si boicotti, tutto si concentra su quel primo, sorprendente episodio. Lì dove la vera paura della morte come variabile imprevedibile viene esorcizzata con il cellulare puntato su di sé, tutte le domande sul bene e sul male, sul giusto e sullo sbagliato, si annullano e tornano direttamente a noi. La nostra, intima e personale idea di coscienza e di come decidiamo di utilizzare, esponendola o meno ai nostri seguaci, il nostro tempo a disposizione.

La serie continua a offrire gli stessi elementi che hanno reso la prima stagione un successo. La narrazione si basa sulla raccolta e la condivisione di frammenti della vita quotidiana di Chiara Ferragni e Fedez attraverso i social media e i vlog. Si mostrano momenti di intimità, di lavoro, di viaggi e di eventi, mantenendo un costante flusso di contenuti che alimenta l’interesse dei fan.

Tuttavia, la spia rossa accesa nel primo episodio, che testimonia il momento difficile della malattia di Fedez, sembra fuori contesto rispetto al tono generale della serie. È un momento in cui la fragilità e la vulnerabilità emergono in modo tangibile, introducendo una domanda fondamentale. Fino a che punto è giusto e salutare per loro e per noi spingere l’autorappresentazione e l’esposizione al limite?

La serie solleva implicitamente la questione del confine tra la sfera privata e quella pubblica. Portando a riflettere sul significato dell’autenticità e sulle implicazioni dell’auto-racconto costante nelle nostre vite. È ancora rilevante interrogarci su quanto sia necessario mostrare ogni aspetto della nostra vulnerabilità. E se sia opportuno stabilire dei limiti per preservare la nostra privacy e la nostra relazione con la società.

In un mondo in cui la documentazione di sé stessi e la capitalizzazione delle emozioni sono diventate parte integrante della nostra cultura, “The Ferragnez 2” potrebbe fungere ancora una volta da stimolo per una riflessione critica sulla nostra incessante necessità di auto-rappresentazione e sull’uso che facciamo del nostro tempo e delle nostre energie.

Indipendentemente dalle opinioni personali sulla serie, sia che la si ami o la si detesti, essa continua a richiamare l’attenzione sulla complessità delle dinamiche sociali. Sulla ricerca di autenticità e sull’impatto dell’esposizione mediatica sulla nostra esistenza. Alla fine, il valore ultimo di “The Ferragnez 2” potrebbe risiedere proprio in questa capacità di sollevare tali questioni. E stimolare una riflessione critica sulle dinamiche dell’autorappresentazione nella società contemporanea.

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“Love and Monsters” la recensione del film

“Love and Monsters” la recensione del film

“Love and Monsters” la recensione del film

Disponibile su Netflix

Regia: Michael Matthews
Cast: Dylan O’Brien, Jessica Henwick, Dan Ewing, Ariana Greenblatt, Michael Rooker, Ellen Hollman, Melanie Zanetti, Damien Garvey, Bruce Spence
Genere: Avventura, commedia, azione, fantascienza
Durata: 109 minuti
Voto: ♥♥♥ (su 5)

“Love and Monsters” si rende conto fin da subito che cose banali come la fine del mondo sembrano molto attuali in questo momento storico. Quindi, introduce l’apocalisse con quell’atteggiamento un po’ indifferente di chi sa di non avere nulla di originale da offrire. Ciò pone le basi per un’avventura divertente – anche se a tratti deludente – piena di ammiccamenti consapevoli e una buona dose di passione. Ah, e ci sono alcuni giganteschi insetti mutanti.

Joel (Dylan O’ Brien) vive sottoterra con un gruppo di altri sopravvissuti e insieme fanno del loro meglio per sopravvivere. Questo dopo che un incidente dovuto ad un asteroide distrugge il 95% della vita umana e trasforma il mondo in superficie in un inferno. Il protagonista ha recentemente stabilito un contatto radio con la sua ex fidanzata adolescente Aimee (Jessica Henwick), che vive in un altro bunker a 85 miglia di distanza. Per trovare la felicità e il suo posto nel nuovo mondo, Joel lascia i confini della sua casa e inizia un pericolo viaggio fuori dal club dei cuori solitari.

L’impostazione è troppo schematica e anche un po’ stridente. Ma il regista Michael Matthews fa del suo meglio per bilanciare l’avventura, la fantascienza e la leggerezza. La sceneggiatura è carica di retorica e piena di rimandi fantascientifici post-apocalittici (da “Zombieland” a George Miller). Riferimenti importanti, che aiutano a donare leggerezza all’intera operazione, anche quando Joel fa saltare in aria dei lombrichi troppo cresciuti. O si impegna in un contatto visivo prolungato con un granchio gigante. A volte ci si sente inquieti, perché si vorrebbe capire (senza riuscirci) dove il film voglia andare davvero a parare, ma “Love and Monsters” ha il grande merito di non perdere mai il suo senso del divertimento.

O’Brien è bravo, perché riesce a mostrare Joel come qualcosa di più di un atipico debole, romanticamente frustrato della ‘generazione Z’. Tira fuori dal suo personaggio una vulnerabilità che lo rende simpatico agli occhi del pubblico, evitando anche l’effetto macchietta. E’ il migliore nel cast, ed è per questo messo sempre in primo piano durante i momenti maggiormente emotivi del film. Ma la performance di O’Brien soffre per un gruppo di attori di contorno decisamente sottotono. La sua connessione con Aimee, in particolare, sembra più inevitabile che genuina. Tanto che una breve scena con Joel ed un robot si rivela molto più toccante di qualsiasi momento tra i due protagonisti umani.

Il dettaglio e l’attenzione visiva in “Love and Monsters” merita un elogio speciale. La scenografia e la produzione si integrano perfettamente con le creature e il campo di battaglia devastato dal disastro, che costituisce quasi tutta l’ambientazione del film. Matthews ottiene questo con pochissimo budget, un’impresa senz’altro meritoria. E’ un esempio di qualità e ciò accade quando un film indipendente riceve il sostegno finanziario necessario per arrivare al grande pubblico, peraltro con merito.

A livello di temi, purtroppo, il film sembra un po’ vuoto e ovvio. Non aiuta, in tal senso, l’eccessiva insistenza nel ricorrere a continue citazioni di film apocalittici precedenti. Però “Love and Monsters” è abbastanza divertente e consapevole da superare qualsiasi debolezza narrativa. I due protagonisti si distinguono entrambi all’interno del cast in un film che affronta la fine del mondo con un senso di divertimento e meraviglia. Una ventata d’aria fresca, in un momento in cui la sensazione di disastro è avvertita troppo da vicino da tutti.

“GENITORI VS INFLUENCER LA RECENSIONE DEL FILM”

“Genitori vs influencer” la recensione del film

“Genitori vs influencer” la recensione del film

“Genitori vs influencer” la recensione del film

Disponibile su Now

Regia: Michela Andreozzi
Cast: Fabio Volo, Ginevra Francesconi, Giulia De Lellis, Ruben Mulet Porena, Emma Fasano, Massimiliano Bruno, Nino Frassica, Paola Minaccioni, Matteo De Buono, Paola Tiziana Cruciani, Massimiliano Vado, Michela Andreozzi.
Genere: Commedia
Durata: 94 minuti
Voto: ♥ 1/2 (su 5)

“Genitori vs Influencers” vorrebbe andare oltre il semplice scontro tra i protagonisti. Il film di Micaela Andreozzi con Ginevra Francesconi, Fabio Volo e Giulia De Lellis, infatti, vorrebbe volare molto più in alto. Puntando a contrasti molto più interessanti. Il film vorrebbe partire dal contrasto tra vecchi e nuovi esempi di commedia italiana. Non riesce, però, a trovare una sintesi tra questi due esempi. Risultando poco interessante e, inoltre, con un rapporto ambiguo con la realtà che vuole rappresentare.

La storia è quella di Paolo, un professore perennemente preoccupato e decisamente antisociale. L’uomo si scontra spesso con la figlia Simone (pronunciato alla francese) e odia l’influencer Ele-O-Nora. Finirà però per farsi sedurre dallo sfarzoso mondo del networking. “Genitori vs Influencers” poteva essere lo spunto giusto per parlare del nuovo contesto digitale ma il tema è così poco trattato che, quando scorrono i titoli di coda, ci si chiede se si è davvero assistito a qualcosa di veramente interessante.

Il film racconta la dimensione social senza avere idea di cosa sia realmente, ma vedendola solo come un enorme buco nero. Un buco nero che inghiotte la realtà e costringe gli utenti a comportarsi in modo insensato. Tutte le questioni affrontate da “Genitori vs influencers” poggiano su una struttura sottile, troppo sottile. La stessa che sostiene anche la superficialità del ritratto delle nuove generazioni al centro della storia, la cui psicologia è ridotta a una massa informe di definizioni usa e getta.

Tuttavia, l’elemento peggiore di questo lungometraggio è il suo rapporto assolutamente ambiguo con il mondo degli influencer. Almeno inizialmente, infatti, punta all’ironia ma, con il passare dei minuti, comincia a simpatizzare con loro, finendo per imitare compiaciuto quegli atteggiamenti che avrebbe voluto criticare. Insomma, più che una satira sul mondo dell’internet moderno, “Genitori vs Influencers” è una commedia italiana che cerca di staccarsi dalle caratteristiche del genere senza riuscirci.

Così, lo spettatore si trova di fronte a un film senza costrutto, dove l’unico tentativo della regista è quello di mettere in piedi qualcosa di mai visto prima. E nel tentativo esasperato di innovare, finisce per mettere in secondo piano certezze comiche come quelle che potrebbe offrire il cast di supporto, per concentrarsi su un cast di protagonisti poco adatti allo scopo. La regia reinterpreta alcuni dei fondamenti della commedia degli equivoci senza averli prima assimilati, finendo per riproporli in modo frettoloso e, a volte, superficiale.

Non sorprende, quindi, che una scelta che tira fuori il genere dal suo terreno di coltura, non abbia, poi il potere di colpire davvero il pubblico, che rimane più confuso che deliziato. “Genitori vs Influencers” non esamina criticamente le novità. Piuttosto, gioca sulle sue ambiguità e parla allo stomaco del suo pubblico. Perdendo, così, l’opportunità di un’auspicabile riflessione sulla condizione del rapporto digitale-utente.

Francesco G. Balzano

“THE SOUND OF METAL” LA RECENSIONE DEL FILM

“After 2” recensione film

“After 2” recensione film

“After 2” recensione film

Distribuzione: 01distribution.it

Regia: Roger Kumble
Cast: Josephine Langford, Hero Fiennes Tiffin, Dylan Sprouse, Louise Lombard, Charlie Weber, Candice King, Selma Blair, Rob Estes, Samuel Larsen, Pia Mia, Dylan Arnold
Genere: Drammatico, sentimentale
Durata: 105 minuti
Voto: ♥

La trama

Abbiamo lasciato Tessa e Hardin in riva al lago con quella romantica frase con cui lui le dichiarava il suo amore. In questo nuovo capitolo i due dovranno affrontare diverse sfide per tornare non uniti come prima, ma più di prima. Tessa suscita l’interesse di altri ragazzi, disposti a farle dimenticare Hardin, ma non soltanto la sua sfera sentimentale è un completo caos. Un improvviso ritorno, infatti, sconvolgerà la ragazza: qualcuno che non vedeva da tempo farà capolino nella sua vita, senza alcun preavviso. Hardin invece ha disperatamente bisogno di lei e, sebbene Tessa provi a perdonarlo, non sa ancora quali terribili segreti nasconde il passato del ragazzo…

Il nostro giudizio

“After 2” è una benedizione per gli esercenti cinematografici che, in un momento assai complicato, sono riusciti a staccare parecchi biglietti. Persino più dell’attesissimo (anche se deludente) “Tenet” di Christopher Nolan, per capirci. Allo stesso tempo, però, “After 2” è una maledizione per il cinema, inteso come settima arte. Se esistesse una scuola che insegna come non si fa un film, questa pellicola sarebbe una pietra miliare da far vedere e rivedere per mettere in guardia gli studenti. Il regista Roger Kumble (“Cruel Intentions” e “Cruel Intentions 2”) deve aver preso un colpo di sole, o aver avuto urgente bisogno di soldi, altrimenti non si spiega come possa esser caduto così in basso. Talmente tanto che, dopo aver toccato il fondo, ha cominciato a scavare ancora un po’.

C’è da dire che, negli ultimi anni, siamo stati abituati davvero male e la situazione è andata peggiorando di pellicola in pellicola. In principio fu “Twilight”, poi iniziò la discesa vertiginosa con “50 sfumature di grigio” e ora affoghiamo nella melma grazie all’apparizione di due personaggi che definire squallidi equivale a complimentarsi. Si tratta, ovviamente, di Tessa e Hardin. Se nel primo film si limitavano ad essere due fessacchiotti di proporzioni cosmiche, in questo sequel si lasciano andare completamente all’idiozia. In tale, non facile, operazione sono molto aiutati da una sceneggiatura infarcita di battute grevissime, prive di vis comica e momenti di pseudo commozione che lasciano impassibili.

“After 2” recensione film

C’è, inoltre, un focus poco tecnico e molto filosofico da fare. Hardin è davvero uno dei pesonaggi più melmosi inventati nella storia del cinema. Risulta davvero impossibile capire come una ragazza possa rimanere attratta da questo Fonzie di periferia fuori tempo massimo e con evidenti problemi di alcolismo. Eppure è esattamente ciò che accade sia sul grande schermo, sia presso le giovani spettatrici che sono accorse in sala. La sceneggiatura gli attribuisce un pesante trauma infantile, per giustificare il suo comportamento sconsiderato e provare a far scattare nel pubblico un sentimento di compassione.

Mossa azzardata, perché gente come lui non va compatita, ma seriamente e urgentemente aiutata. Qualsiasi persona dotata di un minimo di sale in zucca (non come Tessa, quindi) starebbe lontana un miglio da uno stalker e potenziale omicida come lui dopo due minuti di conoscenza. E’ ora di finirla, ad ogni modo: il cinema che si rivolge agli adolescenti deve smetterla di spacciare personaggi socialmente pericolosi per miti da emulare o di cui innamorarsi.

A fare da contraltare ad Hardin troviamo Trevor, un insipido e occhialuto commercialista che, inspiegabilmente, decide di trasformarsi in uno zerbino per Tessa, che calpesta i suoi sentimenti senza ritegno. E lo usa solo per avere sontuose quanto poco probabili agevolazioni fiscali. Pure la protagonista suscita più di una perplessità. Perché è così facile innamorarsi di una ragazza carina, sì, ma simpatica ed affabile come la sabbia nelle mutande? Rimarrà uno dei tanti segreti non svelati di questa orripilante saga. Una saga che, almeno per quanto ruguarda il secondo capitolo, non ha altro da offrire se non una sequela interminabile di disgustosi amplessi tra i due protagonisti.

Intervallati, brevemente, da dialoghi che hanno il nauseabondo olezzo del fiato alcolico di chi li recita e di chi li ha scritti. “After 2” è un’offesa a qualsiasi cosa vi venga in mente: dal cinema alle battaglie femministe, che pensavano di aver fatto enormi passi avanti negli anni prima di imbattersi in Tessa. Il film propone un’idea di amore malato e distorto, che assomiglia molto alla dipendenza da droghe pesanti e ne ricalca persino gli effetti collaterali. Concludiamo con una minaccia: la saga prevede almeno altri tre film e nulla fa immaginare che il livello andrà migliorando. Se state pensando che è proprio vero il detto ‘al peggio non c’è mai fine’, beh, avete ragione.

Francesco G. Balzano

“THE NEW MUTANTS” FILM RECENSIONE (NO SPOILER)

“The New Mutants” film recensione (NO SPOILER)

“The New Mutants” film recensione (NO SPOILER)

“The New Mutants” film recensione (NO SPOILER)

Distribuzione: 20th Century Studios

Regia: Josh Boone
Cast: Anya Taylor-Joy, Maisie Williams, Charlie Heaton, Alice Braga, Blu Hunt, Henry Zaga, Adam Beach, Thomas Kee, Happy Anderson
Genere: Fantascienza, Azione, Horror
Durata: 94 minuti
Voto: ♥♥ 1/2 (su 5)

La trama

The New Mutants si svolge tra le mura opprimenti dell’ospedale dove cinque mutanti adolescenti, provenienti da diverse parti del mondo, sono trattenuti contro la loro volontà. I giovani protagonisti uniscono le forze per sfuggire al passato e salvare se stessi dalle fatali controindicazioni delle abilità di cui sono dotati. Su di loro veglia Cecilia Reyes, una dottoressa con una dote alquanto particolare…

Il nostro giudizio

La produzione di questo film ha avuto una gestazione lunga e travagliata tanto che, purtroppo, i tagli imposti al budget ne intaccano nettamente la qualità. Un vero peccato, perché, nonostante l’evidente penuria di mezzi, il prodotto finale non è affatto da buttare. grazie soprattutto al sapiente mix tra tematiche orrorifiche ed adolescenziali. Ispirato alle serie tv dei primi anni 2000, a metà tra “Buffy l’ammazzavampiri” e “Dawson’s creek”, la pellicola mette in scena il timore di crescere. Tutto questo facendo uscire il concetto dalla metafisica e calandolo nel reale. Praticamente, i giovani protagonisti vedono materializzarsi le loro ansie e le loro paure, nonché l’apprensione nel doverle affrontare.

Proprio dall’ispirazione alle succitate serie tv deriva una delle perplessità legate a “The New Mutants “. La sceneggiatura, infatti, nonostante sia tutto sommato ben congeniata, rimane piuttosto elementare ed ha più di qualche ingenuità. Una più delle altre è legata alla dottoressa Reyes, lasciata praticamente sola (non c’è nemmeno un guardiano, un giardiniere od un addetto alle pulizie) a gestire l’istituto e i cinque ragazzi che lo frequentano. E’ lei l’insegnante, lei la psicologa, lei la catalizzatrice dei cattivi pensieri che popolano le menti dei suoi giovani allievi. D’accordo che siamo nel campo del fantasy ma, ricordiamo, la plausibilità è comunque richiesta a qualsiasi genere di finzione.

“The New Mutants” film recensione (NO SPOILER)

Lo script, ad ogni modo, ha l’enorme merito di coltivare i giusti semi per far nascere empatia tra gli spettatori e tutti i protagonisti. Una medaglia da condividere con un cast assolutamente convincente e col regista Josh Boone, che dimostra, dopo “Colpa delle stelle”, ancora una volta di trovarsi a suo agio con gli attori adolescenti. Interessante, poi, la buona capacità mostrata nella scrittura delle storie dietro a ciascun protagonista, tutte svelate con la giusta gradualità.

Decisamente non bene, invece, e qui dobbiamo, purtroppo, tornare a parlare delle difficoltà di budget, gli effetti speciali. In film come “The New Mutants” sono fondamentali e, invece, qui deludono in maniera clamorosa, per di più in momenti chiave della narrazione come, ad esempio, il finale. Qui sta la falla più grossa di questa pellicola e, a malincuore, a davvero un aspetto fondamentale quando si tratta di giudicare un fantasy col gusto dell’horror. Questa grave mancanza non viene colmata, poi, nemmeno un po’ da una messa in scena davvero troppo basilare. Josh Boone aveva il dovere di osare di più, di trovare il guizzo, una scena madre. Invece, come i personaggi principali del film, ha paura di farsi ingoiare dai suoi timori e, una volta trovata la stabilità minima, si accontenta di camminare barcollando.

In condizioni come queste, dunque, è davvero difficile etichettare “The New Mutants” come qualcosa di più di un film d’intrattenimento. Sebbene, insomma, riesca benissimo nel suo obiettivo minimo, la pellicola si colloca in uno scomodo limbo per lo spettatore. Non saprà mai, infatti, se ha appena visto le basi per una trilogia che non vedrà mai la luce, o la sublimazione delle potenzialità di un film di serie b. Occasione sprecata? Forse. O forse no.

Francesco G. Balzano

“GRETEL E HANSEL” FILM RECENSIONE (NO SPOILER)

“Gretel e Hansel” film recensione (NO SPOILER)

“Gretel e Hansel” film recensione (NO SPOILER)

“Gretel e Hansel” film recensione (NO SPOILER)

Distribuzione: Midnight Factory

Regia: Oz Perkins
Cast: Sophia Lillis, Samuel Leakey, Charles Babalola, Alice Krige, Jessica De Gouw, Fiona O’Shaughnessy, Donncha Crowley, Melody Carrillo, Jonathan Delaney Tynan
Genere: Horror, Fantasy
Durata: 87 minuti
Voto: ♥♥ 1/2 (su 5)

La trama

Un giorno la giovane Gretel e il fratellino Hansel vengono cacciati di casa dalla madre. Quest’ultima non non può più provvedere a loro a causa della povertà dilagante. La ragazza decide di addentrarsi nell’oscuro bosco insieme al fratello alla disperata ricerca di cibo, riparo e lavoro. Ma non sa che la foresta è piena di insidie e pericoli mortali. Fortunatamente accorre in loro aiuto un cacciatore. che li aiuterà a superare i primi ostacoli che la folta boscaglia presenterà ai due fratelli. Ma mentre sono alla ricerca di cibo nel bosco, incappano in una casa che emana profumo di dolci appena sfornati. Qui abita un’anziana donna, Holda, che offre ai due pasti, un posto per dormire in cambio di aiuto nei lavori di casa.

Il nostro giudizio

“Gretel e Hansel” è un’interessante opera di rivisitazione in chiave gotica della pellicola dei fratelli Grimm. Il soggetto non è proprio originalissimo, anche perché, solo sette anni fa, Tommy Wirkola si era divertito a rimescolare i tasselli della fiaba in un action scanzonato (“Hansel & Gretel – Cacciatori di streghe”). Qui, invece, gli eventi vengono presi terribilmente sul serio. Il buon Oz Perkins, infatti, inserisce i giovani protagonisti in un’ambientazione medievale, si, ma piuttosto imprecisa, e li segue nella spasmodica ricerca di una salvezza tutt’altro che facile da raggiungere.

C’è da dire che il regista è davvero bravo nel disegnare attorno ai protagonisti un mondo tanto spaventoso quanto affascinante. La pellicola ha una forte carica evocativa, dettata da immagini in grado di affascinare lo spettatore, come fossero quadri ispirati all’arte fiamminga. Interessante anche lo spunto filosofico che è nel sottotesto, ovvero quest’idea del Male che si nasconde dietro i finti bisogni, alla base delle delusioni esistenziali. Un Male che colpisce pericolosamente l’ingenuo Hansel e, invece, viene tenuto a distanza dalla matura e consapevole Gretel.

Il film, però, soffre di una lentezza davvero disarmante. D’accordo, è utile a rendere il tutto volutamente ipnotico, ma la narrazione subisce un grave danno. Gli eventi che vedono Gretel investigare sull’oscuro segreto nascosto dietro l’anziana che l’accoglie e la ricerca di sé stessa, scorrono con una flemma portatrice di sonnolenza. Va anche bene infarcire il film di un sottotesto incentrato sulla dannosità della fame di potere, ma, alla fine, diventa difficile catalogare “Gretel e Hansel” come horror.

“Gretel e Hansel” film recensione (NO SPOILER)

Anzi, diventa piuttosto difficile etichettarlo con un genere. Sia chiaro, non è per forza una cosa negativa (c’è chi  ne farebbe un vanto), ma il risultato è che la visione si rivela davvero difficile. E questo di certo non giova ad una pellicola che, già in partenza, ha pochi punti di attrazione verso il pubblico. Rimane, comunque, da sottolineare ancora una volta l’indubbia bravura del regista, che riesce a trasmettere per intero la sua passione per le ambientazioni cupe e sature di cattivi pensieri.

Chiara, nell’aver invertito i nomi dei protagonisti nel titolo, la volontà di mettere più in luce il personaggio di Gretel rispetto a quello di Hansel. Operazione riuscita, anche per merito della buona prova, in sottrazione, di Sophia Lillis, talento lanciato dal successo di “It”. In generale, funziona bene tutto il cast femminile, perché è eccelente anche la prova della veterana Alice Krige, perfetta nei panni della strega.

“ONWARD” FILM RECENSIONE (NO SPOILER)

“Onward” film recensione (NO SPOILER)

“Onward” film recensione (NO SPOILER)

“Onward” film recensione (NO SPOILER)

Distribuzione: Disney.it

Regia: Dan Scanlon
Voci italiane: Andrea Mete, Alex Polidori, Sabrina Ferilli, Francesca Guadagno, Enzo Avolio, Fabio Volo, Guendalina Ward, Micaela Incitti, Delal Suleiman, Graziella Polesinanti, Massimiliano Manfredi, Renato Cecchetto
Genere: Animazione, fantastico, commedia, avventura
Voto: ♥♥♥ (su 5)

La trama

In un tempo equivalente ai tempi moderni, nella città di New Mushroomton vivono due fratelli elfi. Ian Lightfoot, un liceale privo di fiducia in sé stesso, e Barley, appassionato di giochi di ruolo e fanatico della storia, che Ian trova imbarazzante a causa del suo comportamento stravagante. Il padre Wilden è morto poco prima della nascita di Ian a causa di una grave malattia. Lasciando la loro madre Laurel ad allevarli da sola. I tre conducono una vita serena e Laurel ha un nuovo fidanzato, l’agente di polizia centauro Colt Bronco, che i ragazzi non gradiscono. Al sedicesimo compleanno di Ian, Laurel dà ai fratelli un regalo di Wilden. Un bastone magico, una rara Gemma di Fenice e una lettera che spiega come lanciare un ‘incantesimo evocativo’, in grado di far risorgere Wilden per un solo giorno.

Il nostro giudizio

La storia della distribuzione di questo film è abbastanza particolare: uscito nelle sale statunitensi prima del lockdown, non stava andando particolarmente bene, anzi. Il pubblico, in sostanza, lo aveva snobbato, definendolo un film trascurabile, probabilmente il peggiore della Pixar. Critiche piuttosto ingenerose, perché certo non è tra i migliori, ma non si può pretendere che una casa di produzione faccia uscire solo cose eccellenti. “Onward” è un film ben fatto, soprattutto da un punto di vista dell’animazione, e riesce pure a mandare un messaggio potentissimo, non trascurando di far divertire il pubblico con qualche sketch riuscito. Certo, ha più di qualche difetto. Un esempio? L’ambientazione, sospesa tra il fantasy ed il contemporaneo, è molto superficiale, almeno rispetto agli affini e illustri predecessori “Monsters & co.” e “Monsters University”. Manca, poi, il ‘cattivo’ della situazione, che è una sorta di marchio di fabbrica della Pixar, solitamente molto brava nel crearne di validi.

E’ una grave perdita, almeno da un punto di vista narrativo, perché questo tipo di cinema d’animazione soffre molto quando manca il nemico da combattere. Interessante, però, l’ostacolo che i due protagonisti devono superare, ovvero le loro paure. Buonissimo, poi, il doppiaggio sia statunitense sia italiano. In originale, infatti, Ian e Barley hanno la voce, rispettivamente, dei ‘marvelliani’ Tom Holland e Chris Pratt. Per la versione, italiana, invece, è stata fatta la scelta più saggia, ovvero quella di prendere i doppiatori nostrani dei due attori. Attenzione: nel nostro cast di ugole compaiono anche Fabio Volo (che presta le corde vocali al padre dei due fratelli) e Favij, che doppia Spiritello. Nessun allarme, però, perché sono personaggi secondari, con apparizioni talmente brevi che gli è praticamente impossibile rovinare alcunché. Cattiverie a parte, è interessante, da un punto di vista della sceneggiatura, il ruolo del genitore dei protagonista.

“Onward” film recensione (NO SPOILER)

Pur non parlando praticamente mai, infatti, ha un ruolo centrale e un simbolismo di gran valore. Esilarante, poi, il continuo citazionismo in stile “Weekend con il morto”. “Onward”, dicevamo, è un film che fa anche ridere ma, per onestà, dobbiamo far notare che è la pellicola meno divertente della Pixar. Verrà, però, senz’altro ricordato per l’emozionante ritratto del rapporto unico tra i due fratelli al centro del racconto. Ian e Barley sono profondamente diversi. Il primo è timidissimo, malinconico, insicuro e pieno di paure, mentre l’altro è un sognatore testardo e, soprattutto, caparbio. E’ estremamente interessante, poi, il fatto che il loro papà, nonostante abbia vissuto in un mondo magico, sia morto per un brutto male incurabile. Il film, quindi, si addentra con grande delicatezza nel complesso tema dell’elaborazione del lutto tra gli adolescenti.

“Onward” è un riuscito road-movie di formazione, dove ciascuno dei due protagonisti imparerà qualcosa dall’altro. Un bel viaggio tra le emozioni in cui si fa tappa negli anfratti più nascosti delle anime dei personaggi principali. Laddove, cioè, si nascondono le paure su un futuro apparentemente troppo grande e incerto per la loro giovane età. E’ una pellicola che invita i giovani spettatori a non arrendersi davanti alle difficoltà, a trovare sempre una ragione per combattere e, soprattutto, a non sentirsi mai soli, anche quando si subisce una grave perdita. Molto meno interessanti, invece, gli altri personaggi secondari. Strano, perché di solito la Pixar, invece, dedica sempre loro il giusto spazio. Alcuni di loro, addirittura, appaiono e scompaiono senza lasciare traccia. Un peccato, poi, che il ruolo della madre di Ian e Barley non sia sviluppato a dovere, perché potenzialmente avrebbe una parte importantissima. Invece, da un certo punto in poi, viene messa inspiegabilmente ai margini della narrazione. Per tanti motivi, dunque, “Onward” va considerato un film minore della Pixar, ma magari tutti i ‘minori’ avessero il suo tasso di qualità!

Francesco G. Balzano

“TENET” RECENSIONE FILM (NO SPOILER)

“Dark serie tv” recensione

“Dark serie tv” recensione

“Dark serie tv” recensione

disponibile su Netflix

Regia: Baran bo Odar
Cast: Louis Hofmann, Maja Schöne, Lisa Vicari, Jördis Triebel, Oliver Masucci, Andreas Pietschmann, Karoline Eichhorn, Mark Waschke, Gina Alice Stiebitz, Moritz Jahn, Paul Lux
Genere: Serie Tv, Drammatico, Thriller, Fantascienza, Giallo
Stagioni: 3
Numero episodi: 26
Voto: ♥♥ 1/2 (su 5)

La trama

Winden, 2019. La scomparsa di due bambini in una città tedesca e le conseguenti ricerche porteranno alla luce misteri e oscuri segreti che questa piccola cittadina nasconde. Rivelando i rapporti e il passato di quattro famiglie che vi abitano e attorno alle quali ruotano le vicende: i Kahnwald, i Nielsen, i Doppler ed i Tiedemann. Nella misteriosa cittadina di Winden dopo la scomparsa di un ragazzo, la polizia esegue le indagini riguardanti la sparizione, fino a quando non accadono strani fenomeni. Come la strana morte di numerosi uccelli, impulsi elettrici che fanno sobbalzare la corrente nella cittadina. E molti abitanti di lunga data si ricordano come 33 anni prima successe la stessa cosa alla famiglia Nielsen. Quando Mads Nielsen scomparve misteriosamente a soli 13 anni, senza lasciare tracce.

Prima stagione

Considerata, da molti, una delle migliori serie mistery degli ultimi tempi, Dark è sicuramente il punto di riferimento per quasi tutte le uscite recenti dello stesso genere. La prima stagione è senz’altro apprezzabile, anche se la sensazione è che si tenda a complicare la trama in maniera forzata. E’, infatti, molto difficile da seguire, non tanto per i colpi di scena, quanto per la miriade di nomi e parentele da ricordare. Al netto dei non pochi difetti, comunque, la stagione d’esordio di “Dark” rimane interessante, con una regia centrata e, soprattutto, con una chiara idea di cosa si vuole rappresentare e come lo si vuole mettere in scena. E’ un raro caso di prodotto europeo (tedesco, per la precisione) con taglio internazionale.

La sceneggiatura è di buon livello, ma tutt’altro che impeccabile. Peraltro, non è nemmeno originalissima, in quanto sono evidenti i tanti spunti presi qua e là da “Lost” e “Twin Peaks”. Manca, poi, totalmente la capacità di far empatizzare il pubblico con i personaggi, tra l’altro alcuni davvero insopportabili (vedi Ulrich e Hannah). Ci sono poi dei protagonisti poco o per niente utili alla trama come la coppia formata da Magnus e Franziska. Fastidiosi, inoltre, i continui risvegli di soprassalto di Jonas, così come gli incomprensibili sermoni dell’orologiaio e i ridondanti “tic-tac” pronunciati dall’Helge anziano, ormai in preda alla demenza senile. Ottimo doppiaggio e colonna sonora.

“Dark serie tv” recensione: seconda stagione

Anche nella seconda stagione ritorna il più grosso difetto della serie Dark. Ovvero che per stupire lo spettatore non può puntare sui colpi di scena. Chi ha un minimo di esperienza nella visione di prodotti simili, infatti, non potrà non notare che (quasi) tutte le svolte date alla trama sono piuttosto prevedibili. Ecco che, quindi, l’unico vero asso nella manica degli autori per spiazzare è e rimane la miriade di confusissimi gradi di parentela tra i protagonisti. In questa seconda stagione di “Dark”, poi, i personaggi sono piatti come marionette e non hanno alcun tipo di sviluppo. Ciò è giustificato dalla teoria proposta per cui gli uomini non sono altro che pedine con cui il destino, già scritto, si diverte a giocare.

Però è altrettanto vero che questa scelta, col passare degli episodi, rende sempre meno attrattiva la serie. Deludente e poco originale pure lo scenario futuro post apocalittico che viene introdotto. Sostanzialmente, infatti, viene reso come un desolato quartiere periferico di una città a caso, in cui compaiono pochi personaggi (solo quelli fondamentali) e qualche comparsa buttata lì. Perché, sì, un altro difetto di “Dark” è quello di usare e gettare i suoi protagonisti senza dare troppe spiegazioni. Effetti visivi non sempre perfetti, ma il budget a disposizione non era esattamente altissimo.

Terza stagione

Giova ripetere che, al netto dei molti difetti, “Dark”, per i temi filosofici e scientifici posti e la messa in scena, rimane, tutto sommato, uno dei titoli migliori del catalogo Netflix. E’ impossibile, però, non notare che molte delle aggiunte che vengono fatte alla narrazione principale non convincono. E’ il caso, ad esempio, nella terza stagione, dei mondi alternativi. Proprio queste aggiunte, poi, avvenendo nell’ultima stagione, complicano ulteriormente una matassa già difficile da sbrogliare. Scelta poco azzeccata, perché una trama tanto intricata aveva bisogno del giusto tempo per essere spiegata tutta.

Fatto sta che una storia che ha sempre fatto del mistero, dell’implicito, del detto e non detto, la sua cifra stilistica, proprio sul finale, quando vede che il tempo a disposizione sta per finire, diventa didascalica. Lo fa inserendo, nelle ultime tre puntate, delle spiegazioni fiume noiosissime. Chiaro segnale di enormi buchi nella sceneggiatura, sui quali si tenta disperatamente di mettere una pezza. Probabilmente, per non dire sicuramente, per esaurire al meglio tutte le interessanti tematiche affrontate, “Dark” avrebbe necessitato di una quarta stagione.

Ma “Dark” è anche, se non soprattutto, una serie legata al simbolismo del numero 3. Perciò, anche solo pensare ad una quarta stagione sarebbe stato sacrilego. Un vero peccato, perché il finale offre spunti anche interessanti che, però, essendo disseminati qua e là senza troppa cura perdono molto della loro carica emotiva. Soprattutto perché, ripetiamo, tutti i protagonisti rimangono pedine senza spessore, alle quali è impossibile affezionarsi. E’ una scelta? Podarsi, ma all’atto conclusivo questa opzione fa pagare un dazio altissimo di penalità sul giudizio complessivo.

Francesco G. Balzano

“CURON SERIE TV” LA RECENSIONE

“Artemis Fowl” la recensione del film

“Artemis Fowl” la recensione del film

“Artemis Fowl” la recensione del film

Disponibile su disneyplus.com

Regia: Kenneth Branagh
Cast: Ferdia Shaw, Lara McDonnell, Nonso Anozie, Josh Gad, Judi Dench, Miranda Raison, Colin Farrell, Hong Chau, Adrian Scarborough
Genere: Avventura, Fantastico, Fantascienza
Durata: 94 minuti
Voto: ♥ 1/2 (su 5)

La trama

Artemis, un geniale ragazzino di dodici anni, vive alla residenza dei Fowl con il padre vedovo Artemis Sr., che gli trasmette la sua conoscenza delle fiabe irlandesi. Durante uno dei suoi viaggi d’affari, Artemis Sr. scompare dalla sua barca, la Fowl Star , accusata del furto di numerosi manufatti inestimabili trovati a bordo. E Artemis riceve una chiamata da una figura incappucciata. Quest’ultima tiene prigioniero suo padre e concede ad Artemis tre giorni per recuperare il manufatto magico chiamato Aculos, che Artemis Sr. ha rubato e nascosto. Domovoi “Dom” Leale, la guardia del corpo di Artemis, gli mostra una biblioteca nascosta dove generazioni di Fowl hanno catalogato le prove dell’esistenza di creature magiche.

Il nostro giudizio

Nelle intenzioni del regista Kenneth Branagh, “Artemis Fowl” doveva essere un “Die Hard con le fate”. Ma, a conti fatti, ci si trova davanti ad un filmetto per famiglie pieno di imprecisioni sia tecniche che di sceneggiatura. In fase di montaggio, infatti, si è deciso di ridurre la pellicola a poco più di un’ora e mezza di durata, quando, invece, il materiale narrativo fornito dalla saga letteraria avrebbe richiesto molto più tempo. Così, lo spettatore si ritrova immerso in una storia a volte insensata, che va a doppia velocità e costellata di personaggi senza spessore, se non, in alcuni casi, addirittura inutili. Va peggio, poi, quando si cerca di truccare di difetti con effetti speciali rivedibili, resi ancora più ingiustificabili da un budget a disposizione che non era nemmeno basso.

Chi ha letto i romanzi della saga dedicata ad “Artemis Fowl” giura che la sua trasposizione cinematografica è molto al di sotto delle attese. Tendiamo a crederci, perché il protagonista più che un genio del crimine, come ci viene descritto, sembra un ragazzino presuntoso e piuttosto antipatico a cui è davvero difficile affezionarsi. Doveva essere, invece, una mente geniale in grado di mettere a segno, grazie ad un intelligenza machiavellica, una serie di grandi colpi. Nel film di Branagh tutto questo viene messo da parte per lasciare spazio ad una storia banale, dove non c’è un colpo di scena degno di questo nome e, perciò, tutto scorre sin troppo liscio.

“Artemis Fowl” la recensione del film

Pure il parallelo mondo di fate e nani con cui il protagonista entra in conflitto viene svilito sino a diventare superfluo. Se nella versione letteraria questi personaggi si rivelano ossi duri da affrontare anche per l’acuto Artemis Fowl, in questa trasposizione diventano avversari facili da tenere a bada. Il film manca di cattiveria, di spietatezza, probabilmente per volontà Disney preoccupata di compiacere il pubblico dei giovanissimi. La scelta può anche essere sensata, ma allora perché sprecare una saga che poteva regalare emozioni più forti e per un pubblico più eterogeneo?

Il film, poi, butta all’aria anche un cast adulto piuttosto valido, che vanta nomi di primissimo piano come Colin Farrell, Judi Dench e Josh Gad. Anche loro, in fondo, appaiono poco convinti di questa operazione e si limitano ad assecondare una sceneggiatura scialba e che punta all’essenziale, per giunta col minimo sforzo. Non si può dire, comunque, che “Artemis Fowl” sia un film senza pubblico, anzi, se possibile il suo principale problema sta proprio qui. La pellicola, infatti, parla solo ad una platea di età pari od inferiore a quella del protagonista e non si preoccupa minimamente di farsi ascoltare dagli altri. In fondo, la scelta di lanciarlo solo sulla piattaforma Disney Plus è piuttosto azzeccata, perché è un prodotto digeribile solo sul comodo divano di casa.

Francesco G. Balzano

“FAVOLACCE” LA RECENSIONE DEL FILM

“Favolacce” la recensione del film

“Favolacce” la recensione del film

“Favolacce” la recensione del film

Disponibile su primevideo.com

Regia: Damiano e Fabio D’Innocenzo
Cast: Elio Germano, Barbara Chichiarelli, Gabriel Montesi, Max Malatesta, Ileana D’Ambra, Giulia Melillo, Cristiana Pelligrino, Lino Musella, Justin Korovkin, Tommaso Di Cola, Giulietta Rebeggiani, Max Tortora
Genere: Drammatico
Durata: 98 minuti
Voto: ♥ (su 5)

La trama

Nella periferia meridionale di Roma vive una comunità di famiglie che svolgono una vita apparentemente normale e monotona. Nonostante ciò, ogni famiglia nasconde delle piccole verità, spesso poco piacevoli. Bruno, sposato con Dalila, è il padre di due figli dodicenni estremamente educati e istruiti, tanto da avere il massimo in ogni materia a scuola. Ma che in realtà non sono per nulla felici, vittime dei comportamenti rabbiosi proprio dei loro genitori. Amelio vive in un prefabbricato con il suo timido figlio Geremia, convinto di sapere sempre cosa sia meglio per il ragazzo. Vilma è una giovane ragazza che aspetta un figlio dal suo fidanzato. La monotonia porta anche altri ragazzini ad affacciarsi al mondo dell’adolescenza.

Il nostro giudizio

Dopo il loro film d’esordio, “La terra dell’abbastanza”, i fratelli D’Innocenzo tornano a raccontare la periferia romana. A guardar bene, però, di periferia capitolina c’è davvero poco e sembra di ritrovarsi, piuttosto, in un non-luogo fatto di villini in stile statunitense. Più
che a Spinaceto o Casal Bruciato, insomma, sembra di essere nella periferia di Los Angeles. Del resto, la sensazione che i registi abbiano guardato più e più volte “Alpha Dog” di Nick Cassavetes è fin troppo evidente.

Dunque, i fratelli D’Innocenzo danno riferimenti geografici solo sulla carta, perché sul grande schermo, invece, hanno ambizioni molto più grandi e la periferia romana serve solo a dare colore a certi dialoghi sboccati. “Favolacce”, infatti, sguazza nel cattivo gusto con lo stesso divertimento con cui i maiali si tuffano nel fango. Il film, a vedere bene, altro non è se non una collezione di battutacce, situazioni scabrose ed imbarazzanti. Il tutto per descrivere, in maniera del tutto fittizia, un’assurda guerra tra due mondi: quello degli adulti e quello degli adolescenti. Quando esplorano questi due pianeti, però, i registi perdono le coordinate (sempre che le abbiano mai avute) ed esagerano in tutto, anche nella direzione degli attori. I ragazzi sono tutti privi di vitalità (chissà perché) e praticamente muti (quasi meglio così, in molti casi). I grandi, invece, urlano, sbraitano e offrono interpretazioni sopra le righe. Persino Elio Germano, solitamente sempre molto ben centrato nei suoi personaggi, qui sembra la brutta copia del protagonista de “La nostra vita”.

“Favolacce” la recensione del film

“Favolacce” è un film che non ha alcuna ragione di esistere. Ha un unico intento: quello di impressionare lo spettatore. Tutto il resto, non conta, non serve, è inutile. Parliamoci chiaro: non è che la pellicola abbia un significato recondito, che necessita di essere spiegato al termine della visione. Niente affatto. La storia è chiarissima, ma non si capisce da dove nasca l’esigenza di raccontarla. Il doversi dare una cifra autoriale giustifica, perché no, il fatto che si parta dalla realtà per, poi, sfociare nell’onirico. Ma l’onirico senza una base solida diventa un esperimento surreale, un esercizio di stile, un narcisistico guardarsi allo specchio.

Siccome, però, fare Cinema significa anche parlare ad un pubblico, allora è necessario, pur con tutti i guizzi autocompiaciuti, averne rispetto e considerazione. Bisogna, inoltre, sottolineare che i fratelli D’Innocenzo sono ancora alla ricerca di un proprio stile, perché oltre ad una scopiazzatura, piuttosto accurata, di altri cineasti si vede ben poco. “Favolacce” è un film con pretese ma senza basi, dove il cinema in stile Garrone incontra l’indipendentismo statunitense, però senza trovare l’amalgama. E’ un pasticcio con capo e con coda ma senza anima, per giunta con gravi problemi tecnici (l’audio, infatti, è problematico e molti dialoghi sono difficilmente decifrabili). Se è una scelta voluta, come qualcuno sostiene, allora è l’ennesima riprova che gli emergenti D’Innocenzo sono bravi a darsi le arie, ma molto meno a fare Cinema.

Francesco G. Balzano

“CURON” RECENSIONE SERIE

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